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Calà del Sasso - Piumovimento dalle Dolomiti

Escursioni e curiosità storiche con testi di Gian Garzotto
(Sito parzialmente in costruzione)
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Calà del Sasso

Dolomiti > Escursioni culturali

Calà del Sasso
(traccia gratuita GPS disponibile sui link citati)

4.444 scalini! - La scalinata più lunga del mondo! (Wikipedia) - Questo itinerario unisce l'ascesa per la famosa gradinata della Calà del Sasso (mt.750) con la salita alla Cima d'Astiago (mt.300) e  con la discesa del 'Sentiero del Vu' , una opera militare della prima guerra mondiale.



Questo itinerario segue i sentieri n.778 per la Calà del Sasso, sent. nr.800 sino alla cima d'Astiago, il sentiero 775 'Del Vu' sino al raccordo con l'Alta Via del Tabacco -AVT, poi si segue quest'ultima sino a raccordarsi nuovamente con la Calà del Sasso.
Il parcheggio è in Valstagna, una valle confluente sulla dx orografica della Val Brenta, al secondo tornante della strada per Foza-Asiago; vi sono due piazzali ai lati della strada per parcheggio auto.

Si segue la stradina sterrata con divieto di transito sino alla sorgente della Fonte Bessele, ove, alla sinistra di  un gazebo in legno (bacheche illustrative) inizia la scalinata della Calà del Sasso. Si sale per la scalinata incontrando alla quota m. 381 il bivio dell'Alta via del Tabacco che percorreremo poi al ritorno. (In seguito incontriamo il bivio con il sent. 778bis, alternativa breve per compiere un percorso ad anello) Quasi a metà gradinata una ardita e singolare guglia, il cui profilo assomiglia ad un volto di una nonna. Si esce dalla scalinata presso un bel prato con gazebo e poi si segue a sinistra verso est (sent. n.800) la strada bianca che si abbandona alla quota di m.950 (indicazioni) seguendo un sentiero molto largo che ci porterà al rif. Lazzaretti (privato), mt.1092.





Si superano le malghe Posta di Sopra infilandosi proprio tra di esse (non seguire le indicazioni su palo) salendo per la bella costa erbosa che porterà sulla Cima d'Astiago dove è stata costruita una orribile cisterna d'acqua. Si scende alle sottostanti casere aggirando il colle verso est dove chi vuole può gia visitare molte postazioni d'artiglieria della prima guerra mondiale (segnaletica). Si prosegue ora per il sentiero n.775 'Del Vu' che porta alla forcella Val d'Ancino, una posizione strategica ricca di gallerie e fortificazioni.(foto). Giù per sentiero molto largo proprio in cresta, ripido e pieno di fogliame che richiede attenzione e passo fermo sino al rifugio in grotta (sella della Grottona m.798).Si scende sino ad incontrare la diramazione del sent. n.775 e quì si prende la diramazione verso nord.






Alla quota m.544 ci raccordiamo con l'Alta via del Tabacco che seguiremo verso Nord. La traversata presenta saliscendi per circa 250mt. ma il sentiero è sempre molto buono anche se attraversa talvolta brevi tratti pittosto esposti.
Non vi è acqua nè fontane lungo il percorso, solamente la Fonte Bessele all'inizio della Calà del Sasso.   Dislivello circa 1300 metri - circa 6.30 ore per l'anello completo.
Cartografia: Tabacco Nr.50 Altopiano dei sette Comuni 1:25000 GPS UTM



ALBINO CELI DETTO IL “VU”: UN RECUPERANTE TRA STORIA E LEGGENDA
Il suo nome era Albino, ma per il modo in cui scelse di vivere, avrebbe potuto chiamarsi meglio Libero. Non si pu  dire che fosse un asociale, tutt’altro. Ma alla confusione del paese e alle chiacchiere della gente preferì sempre il silenzio delle montagne e la tranquillità dei boschi. Nella sua vita fu considerato dai più un personaggio, tant’è che per il suo modo di vivere in solitudine e in condizioni disagiate, e per il suo stile di vita semplice e schietto, ha dato ispirazione al film di Ermanno Olmi “Il recuperante” e figura più volte nel romanzo Le stagioni di Giacomo, di Mario Rigoni Stern. Albino Antonio Celi nacque in una contrada di Valstagna (in via Celi, civico 363) l’11 aprile del 1884, da papà Angelo e mamma Giovanna. La madre morì quand’era ancora ragazzo e il padre si rispos . Non riuscendo ad accettare in casa la presenza della nuova matrigna, appena ne ebbe la possibilità se ne and  dal paese e si trasferì in Austria, dove visse arrangiandosi a fare i lavori più disparati. Prima di allontanarsi da casa sicuramente Albino frequent  le montagne del paese, per tagliare il legname o sfalciare lo strame: gli abitanti di Oliero frequentavano la zona delle Pozzette, quelli più a nord il Sasso Rosso e la Val Gadena, quelli del centro di Valstagna gravitavano sulla Val Frenzela, Col dei Remi e Busa del Cimo. Nel 1915, a seguito dello scoppio della Guerra, il governo austriaco gli impedì di rientrare in patria: trascorse altri tre anni lontano dall’Italia e dai campi di battaglia che insanguinavano le montagne dove aveva trascorso la giovinezza. Subito dopo la guerra si sarebbe portato sulle montagne conosciute e si sarebbe stabilito nell’Altipiano. Avrebbe iniziato a lavorare ad Asiago, alla ricostruzione della città devastata dalla guerra. Un’attività che non gli piaceva e che abbandon  presto per fare il recuperante, un mestiere da poveri ma che non lo vincolava a capi e padroni. Cominci  a raccogliere paletti in ferro, stufe da campo, legna da ardere e i materiali che i militari avevano abbandonato nelle trincee, nelle gallerie, nei baraccamenti. Poi si dedic  al recupero dei residuati bellici: era vietato, ma i controlli delle autorità erano scarsi, e Albino divenne uno tra i pionieri della ricerca di ordigni bellici sull’Altopiano.
62 Mauro Varotto
A differenza di molti, che si dedicavano al recupero dei residuati per guadagnare soldi in modo facile e veloce, Albino nascondeva tutto il materiale che trovava in gallerie, che poi richiudeva, riportando la loro ubicazione su una cartina militare. Un piccone, un martello, una tenaglia e qualche altro attrezzo da lavoro, qualche straccio per cambiarsi, un po’ di viveri, un barattolo vuoto che usava al posto del paiolo: metteva tutto dentro un sacco di juta e con quel fardello pass  gran parte della sua vita a raccogliere i semi di morte sparsi dall’irresponsabilità degli uomini e interrati dal tempo. In anni di ricerca divenne un vero e proprio esperto nel disinnescare ordigni, che acquistava inesplosi dagli altri recuperanti. Il suo recupero era di qualità più che di quantità e mai voluminoso: polvere asciutta per i cacciatori ai quali chiedeva in cambio scarpe o vestiti smessi; il rame lo vendeva per comprare il cibo strettamente necessario, il resto lo spendeva in vino. La sua esperienza e la conoscenza capillare del territorio invogliavano i giovani recuperanti a frequentarlo, ma egli sembrava geloso della sua solitudine: non ha mai cercato soci per il lavoro né compagne per la vita. La sua lungimiranza gli permise di fare il recuperante per il resto della sua vita e di essere l’unico sull’Altopiano in grado di soddisfare le varie richieste di materiale bellico da parte dei collezionisti. Fin dal principio si stabilì nella zona dell’Ortigara, dove rimase per buona parte del suo tempo, dormendo nelle gallerie con la sola compagnia del suo cane. Altezza media, fisico asciutto e una lingua svelta e tagliente che per usava pochissimo, non fumava, ma aveva un debole per il vino. Di tanto in tanto scendeva fino ad Asiago per le provviste e per contattare qualche acquirente all’osteria; in quelle occasioni dava del “Vu” a tutti, sia per una forma di rispetto, ma anche per mantenere un certo distacco dalle persone, tanto che alla lunga questa sua insistita forma di cortesia gli valse il soprannome di “Vu”. Pur essendo uno dei personaggi più noti in tutto l’Altopiano, alla fine erano in pochi a sapere il suo nome, il cognome quasi nessuno. La domenica sera, uscito dall’osteria, raccoglieva il suo fardello sulle spalle e partiva per la montagna. Trascorse solitario tra i monti gran parte della sua vita, fino alla vecchiaia, quando si rese conto che non poteva più vivere in montagna e si costruì una baracca sotto il ponte di Roana, continuando per  il lavoro di recuperante. Ammalatosi di polmonite, venne convinto a ricoverarsi all’Ospedale di Asiago, la voce della sua malattia divenne presto di dominio pubblico, molti passarono a trovarlo. Una volta dimesso, accett  sia pure a malincuore di andare ad abitare nella locale casa di riposo. Anche qui, come all’ospedale, molta gente lo andava a trovare, e in quelle occasioni si lasciava andare con i ricordi alle sue avventure. Morì ad Asiago il 4 aprile 1963, pochi giorni prima di compiere 79 anni. Fu sepolto nel cimitero di Asiago. Non aveva lasciato né debiti né crediti, né amici né nemici. Solo il ricordo di un uomo povero ma libero di vivere sulla montagna e di mostrare solo a lei le sue lacrime.
I luoghi della Grande Guerra a Valstagna tra storia, memoria e abbandono 63
Numerosi gli aneddoti che si raccontano su di lui, che ne sottolineano la schiettezza e l’estrema fierezza, anche nel momento della difficoltà e del bisogno. Non aveva studiato, era pratico, semplice, spontaneo e leale. Aveva bisogno di tutto ma non accettava nulla se non sapeva di poter pagare o ricambiare, prima o poi in qualche modo.
D’intesa con l’Amministrazione comunale di Valstagna si è deciso di titolare a lui il nuovo percorso escursionistico lungo i segni della grande guerra (segnavia CAI 775) tra Londa e il Col d’Astiago, pur non essendo questa una zona in cui il nostro recuperante si trov  ad operare. L’intento è per  quello di ricostituire idealmente quel legame tra abitanti e rovine della guerra recentemente smarrito; peraltro, la biografia del Vu, come il percorso in oggetto, collegano Canale di Brenta e Altopiano in un sistema unitario fatto di caratteri naturali e vicende storiche. Il Sentiero del Vu intende infine ricordare che questa terra conserva memoria anche delle vicissitudini successive dei suoi abitanti, legate all’epopea dei recuperanti, alla miseria, all’emigrazione: momenti difficili in cui tuttavia non sono mancati i valori del rispetto, della lealtà, del radicamento ai propri luoghi e alle proprie montagne, incarnati nella vicenda umana di Albino Celi.
Fonti: Archivio dell’Anagrafe comunale del Comune di Valstagna. M. RIGONI STERN, Le stagioni di Giacomo, Einaudi, Torino 1995. ERMANNO OLMI, I recuperanti, film-documentario, 1970. G. SANTINO, Il “Vu” ovvero l’anonimo “recuperante”, in «L’eco del Brenta. Unità Pastorale» R. CAPOZZO, El Vu, in ID., Personaggi e storie dell’Altipiano, 2005.









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